di Filippo Breccia Fratadocchi
Il decreto “Cura Italia” non prevede ammortizzatori sociali per il lavoro domestico. È un peccato. È una grande delusione sia per i lavoratori domestici sia per i datori di lavoro; in buona sostanza lo Stato non riesce a prendere coscienza del fatto che le famiglie italiane sono anche datori di lavoro, le misure adottate a sostegno della famiglia ce ne danno l’ennesima conferma.
Sabato 14 marzo, su invito del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministro della Salute, del Ministro dell’Economia e del Ministro dello Sviluppo Economico, le parti sociali avevano sottoscritto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
Il lavoro domestico dimenticato
“Negli ambienti di lavoro”, si badi. Non “nelle fabbriche e negli uffici”. Ambienti di lavoro significa tutti i settori, tutti i luoghi in cui può svolgersi un rapporto di lavoro, quindi anche quello domestico.
Eppure, il lavoro domestico, come troppo spesso accade, è stato dimenticato. Il contenuto del protocollo è chiaramente riferito a contesti aziendali, industriali, produttivi ed ignora del tutto il lavoro domestico. Si tratta di un’omissione eclatante se si considera che poche ore prima il governo aveva opportunamente chiarito che baby sitter, colf e badanti non sono incluse tra quei servizi alla persona indicati nel DPCM del 9 marzo che devono essere sospesi.
Quindi, i collaboratori domestici sono tenuti a svolgere la loro prestazione, salvo che abbiano un fondato – non generico – timore di essere contagiati dal datore di lavoro e/o dai suoi familiari, quando questi sono risultati positivi al test, oppure quando si trovano in quarantena. Dovranno continuare a lavorare, al pari dei cassieri dei supermercati o degli operai impegnati nelle linee di produzione di generi di prima necessità. A meno che non siano loro stessi a manifestare i sintomi del virus, quindi in malattia.
Il problema anziani
Una persona anziana, non autosufficiente e sola, non può permettersi di fare a meno della domestica, perché ha bisogno di assistenza continua. Senza una soluzione alternativa – il più delle volte non ce n’è – si ritrova costretta ad esporsi al rischio di essere contagiata, non potendo nemmeno rispettare la distanza interpersonale di un metro imposta e raccomandata in queste settimane. Una coppia di medici impegnati a lottare contro il corona virus ha bisogno di una baby sitter che si occupi dei propri figli e, con le scuole chiuse, a tempo pieno. Tanto per dare un’idea dell’importanza di questo settore, che si può quasi definire strategico, ancor più in un momento del genere.
Lo scorso 25 febbraio il Ministero del Lavoro ci aveva convocati d’urgenza tramite la Fidaldo (la Federazione delle principali associazioni di datori di lavoro domestico del paese di cui Nuova Collaborazione fa parte) al tavolo delle parti sociali maggiormente rappresentative a livello nazionale e in quell’occasione ci eravamo raccomandati affinché gli ammortizzatori sociali in cantiere venissero destinati anche al lavoro domestico.
Un appello alle istituzioni
Questa volta non siamo stati invitati. Qualche indicazione anche in questo settore, qualche regola di prudenza, di buona condotta, non avrebbe guastato. Non si tratta di una critica a questo governo, impegnato a fronteggiare una situazione di emergenza per molti versi senza precedenti; quanto piuttosto di un appello al mondo delle istituzioni in generale: quando si interviene in materia di rapporti di lavoro non si può più dimenticare il lavoro domestico , un settore che conta oltre 850mila rapporti di lavoro dichiarati all’Inps – senza contare un altro milione di rapporti circa in nero – un settore anticiclico durante la lunga crisi, che ha saputo garantire occupazione in tempi di esuberi, mobilità e disoccupazione, un lavoro che sostiene la famiglia, il pilastro della società.
Come Nuova Collaborazione abbiamo registrato l’effetto di spinta alla regolarizzazione che i controlli disposti sugli spostamenti hanno avuto sul lavoro domestico. Molti datori di lavoro, infatti, temendo che la propria colf in nero venisse intercettata dalle autorità in itinere, sono corsi da noi per regolarizzare il rapporto. Un effetto emersivo: nuovi contributi in arrivo dal lavoro domestico.
Tra criticità ed emergenza
I media stanno rivolgendo una particolare attenzione alle criticità che possono venirsi a creare nell’ambiente del lavoro domestico in una situazione di emergenza come questa; il tema è ripreso dalla stampa ogni giorno. Il protocollo sulle regole per il contrasto alla diffusione del virus riguarda quei lavoratori che non potranno fermarsi. Poi ci sono quelli che, viceversa, dovranno fermarsi per forza, anche nel lavoro domestico, e non sono pochi. Tutte quelle situazioni in cui le famiglie non potranno né vorranno esporsi a rischi di contagio.
Per questo continuiamo a chiedere un ammortizzatore sociale anche per il lavoro domestico, perché non è affatto semplice trovare una soluzione, un accordo, con gli istituti contrattuali a disposizione: ferie, permessi retribuiti e non retribuiti. Questi istituti contrattuali forniscono soluzioni che possono reggere solo sul breve periodo ed in quei rapporti di lavoro di poche ore settimanali. In mancanza, ci si vedrà costretti a ricorrere al licenziamento, come estrema ratio. Ma ci perderebbero sia i lavoratori sia le famiglie datrici di lavoro.
* avvocato giuslavorista, consigliere di Nuova Collaborazione