Il 16 giugno si celebra la Giornata internazionale del lavoro domestico. Accade dal 2011. In quell’anno, l’Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu (di cui è agenzia specializzata), ha approvato la Convenzione numero 189 dedicata alle lavoratrici e ai lavoratori domestici (la si può leggere cliccando qui).
È un documento che pone l’accento sull’importanza di un lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici. A partire dal 2011, oltre 70 paesi hanno intrapreso azioni volte a garantire il lavoro dignitoso per i lavoratori domestici (colf, badanti e babysitter).
Nel mondo, dieci anni dopo l’adozione della storica convenzione, i lavoratori domestici stanno ancora lottando per essere riconosciuti come lavoratori e fornitori di servizi essenziali. Le condizioni di lavoro per molti assistenti familiari non sono migliorate in un decennio. E sono state peggiorate dalla pandemia di COVID-19, secondo un nuovo rapporto dell’Oil diffuso ieri 15 giugno (lo potete scaricare integralmente o in parte cliccando qui).
L’ultimo report delle Nazioni Unite
Al culmine della crisi, la perdita di posti di lavoro tra i lavoratori domestici variava dal 5% al 20% nella maggior parte dei Paesi europei, così come in Canada e in Sudafrica. Nelle Americhe, la situazione era peggiore, con perdite pari al 25-50 per cento. Nello stesso periodo, la perdita di posti di lavoro tra gli altri dipendenti è stata inferiore al 15% nella maggior parte dei Paesi.
I dati del rapporto – riferisce l’Oil – mostrano che i 75,6 milioni di lavoratori domestici nel mondo (il 4,5% dei dipendenti in tutto il mondo) hanno sofferto in modo significativo. Con conseguenze sulle famiglie che si affidano a loro per le esigenze di assistenza quotidiana.
L’effetto Coronavirus
La pandemia COVID-19 ha esacerbato le condizioni di lavoro che erano già molto povere, dice il rapporto. I lavoratori domestici sono stati più vulnerabili alle ricadute della pandemia a causa delle lacune di lunga data soprattutto nella protezione sociale. Questo ha colpito in particolare gli oltre 60 milioni di lavoratori domestici della «economia informale», cioè quella “sommersa”, in nero.
«La crisi – è la dichiarazione del direttore generale dell’Oil, Guy Ryder – ha evidenziato l’urgente necessità di formalizzare il lavoro domestico per garantire il loro accesso a un lavoro dignitoso, a partire dall’estensione e dall’attuazione delle leggi sul lavoro e sulla sicurezza sociale a tutti i lavoratori domestici».
L’Italia – rispetto ad altre zone del mondo – ha una situazione diversa, per fortuna, tuttavia i lavoratori in “nero” e dunque senza alcuna garanzia e tutela (discorso che vale anche per i datori di lavoro) sono circa un milione a fronte di quasi altrettanti regolarmente assunti in tutta la Pensiola.
Il caso dell’Asia e del Pacifico
L’esclusione dalle leggi nazionali sul lavoro e gli alti livelli di informalità continuano ad avere un pesante tributo sulle condizioni di lavoro dei lavoratori domestici in Asia e nella regione del Pacifico, secondo un nuovo rapporto dell’Oil diffuso pochi giorni fa.
S’intitola «Fare del lavoro dignitoso una realtà per i lavoratori domestici: Progressi e prospettive in Asia e nel Pacifico. Dieci anni dopo l’adozione della Convenzione sui lavoratori domestici, 2011». E sottolinea che la maggior parte (61,5%) dei lavoratori domestici in Asia e nel Pacifico sono completamente esclusi dalla copertura delle leggi nazionali sul lavoro, mentre l’84,3% rimane nel lavoro informale (cioè in nero).