La retribuzione, in via generale, è determinata liberamente dalle parti, nel rispetto però di un limite minimo, che la giurisprudenza ha individuato nei valori di paga base fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base del principio costituzionale di retribuzione sufficiente.
La retribuzione complessiva del lavoratore si compone di un insieme di elementi stabiliti dalla legge, dai contratti collettivi, dagli accordi individuali fra datore di lavoro e lavoratore e anche dai compensi erogati unilateralmente dal datore di lavoro.
Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) che disciplina il rapporto di lavoro domestico prevede – all’articolo 37 – la variazione periodica dei minimi retributivi (fissati all’articolo 34) e dei valori convenzionali del vitto e dell’alloggio (articolo 35).
La variazione avviene attraverso un meccanismo di rivalutazione annuale gestito dalla Commissione nazionale per l’aggiornamento retributivo di cui all’art. 44 (formata dai rappresentanti delle Parti sociali che hanno stipulato il Contratto collettivo). La variazione è parametrata alle variazioni del costo della vita per le famiglie di impiegati e operai rilevate dall’Istat al 30 novembre di ogni anno.
Cosicché, le retribuzioni minime
contrattuali e i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio,
determinati in questo modo, hanno decorrenza dal 1° gennaio di ciascun
anno, se non diversamente stabilito dalle Parti. Tutto ciò è importante
per capire come scattino questi automatismi nella retribuzione.
La
Commissione, con verbale di accordo 15 gennaio 2019, ha quindi
aggiornato i nuovi minimi retributivi. Decorrono dal 1° gennaio 2019,
sulla base degli aumenti contrattuali e dei dati Istat rilevati a
novembre 2018 (+1,4%).